Il mio viaggio verso la Liguria parte male, con la sveglia puntata all’orario sbagliato (sette meno un quarto? Ah si ok 7.45, certo come no, ah aspetta, com’era?) e la lotta contro il tempo con una sola domanda in testa: ce la farò a prendere l’autobus da Tiburtina?
“Devi sempre calcolare un quarto d’ora di scarto”, nella mia testa la voce di mio padre. Sì io l’avrei anche calcolato, un’ora dopo ma non importa. Minuti contati, a Roma non è un buon segno e la metro che ti passa davanti alla Sliding Doors alla stazione di Bologna, neanche.

Decido quindi per il famoso “al massimo prendo un taxi” e quindi parto convinta anche se
“chissà perché non l’ha preso quella ragazza con la valigia, che ora si sta guardando intorno perplessa”.
“Salve vorrei andare a Tiburtina, sì lo so che è qui vicino ma ho proprio i minuti contati”
“Non la posso aiutare, siamo in sciopero, guardi se la faccia a piedi: è meno di un km”
“Ma io veramente rischio di…”
“Senta, io che ce posso fa? .Le ripeto la faccia a piedi”.
Venerdì 17 d’altronde, che cosa pretendevo?
L’arrivo dopo un viaggio travagliato
Per una sorta di miracolo a fermare l’autobus mentre sta per partire e paonazza mi accascio sul primo sedile che trovo “Mi scusi ( e già partiamo male), ma hanno detto che questi sono riservati per gli anziani”.
Sguardo fulminate, mentre cerco di riprendere la respirazione regolare “Sì-pausa- lo so-pausa, respiro- dammi un attimo-pausa-respiro-respiro”.
Arrivo in stazione a Genova Principe dopo un messaggio di un’amica: “ma sai che ho sognato che perdevi l’autobus e che mi suonavi e venivi da me?”. Ecco sfortuna onirica.
Ho di nuovo i minuti contati per l’ennesimo colloquio su Skype, aspetta com’era il fuso orario con l’India, ma tanto ce la faccio, anzi no, aspetta fammi controllare: è tra meno di un’ora.

Metto le mani avanti:“Hi, I am stuck in traffic, I hope I will be home on time for the interview”
Risposta proveniente da un punto non meglio identificato a 5 ore da Mumbai: “No problem, just do me a favour: don’t text and drive”
Sì come se guidassi io.
Primo (di una lunga serie) colloquio su Skype
Nella mezz’ora successiva di colloquio. questo ragazzo indiano mi conquista totalmente, basti pensare che è mio coetaneo e già sta avviando la sua company basata su un software per gestire le campagne a pagamento su facebook. Mi fa vedere l’ufficio open space “everything new”, mi parla del suo progetto “is kind of my baby”, di come vorrebbe un frigo con cibo gratis per tutti e libri come benefit, perché ama leggere.
Qualcosa in lui mi convincerebbe anche che è una buona idea, anzi la strada della mia vita, lavorare in miniera in Argentina (con tutto il rispetto).
Affero solo che si viene pagati decentemente, che la città è tranquilla e il lavoro è per un anno.
Il mare
Dopo questa incombenza mi aspetta finalmente il mio amato mare, quello che ho sempre considerato una persona, un amico più che un fenomeno geografico.
Colpa di mia mamma che da piccola, “sì sono appena arrivata, gli ho fatto ciao da parte tua” e del “guarda che anche il mare non vuole mangiare la purea di banana (eh te credo), ho parlato poco fa al telefono con la sua mamma e anche lei ha lo stesso problema. Tra mamme ci capiamo”. Ma soprattutto il ricorrente “anche il mare sta facendo la nanna, vedi, non vedi che ha già copertina blu scuro. Era stanco perché ha giocato tutto il giorno con i bambini”.

D’altronde si tratta della stessa persona che, durante le cene estive nel solito ristorante con vista sulla chiesa del paese, mi ha fregato per anni, sostenendo che lei lo vedeva il Gobbo tra le campane, certo che era sicura, dovevo solo guardare meglio. Andavamo avanti così per quelle che mi sembravano ore. Anche adesso una parte di me vorrebbe vederlo finalmente.
Questa volta ho una domanda impotante per il mio caro amico: che strada seguire? La troverò? Mi aiuta lui, con la sua tranquilla saggezza, a decidere?
Titolo liberamente tratto da Me so ‘mbriacato di Alessandro Mannarino
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